Arte medievale

Perchè nell’arte medievale sembra che stiano tutti ordinando tre birre?

Nelle opere d’arte medievale c’è sempre qualcuno con tre dita alzate che sembra stia ordinando birre per tutti.

Cosa significa e da dove deriva questo gesto che si è tramandato per secoli nell’arte, dai romani fino al rinascimento? 

Il gesto delle tre dita alzate significa, fin dai tempi degli antichi romani, il gesto della parola. 

Di questo gesto chiamato adlocutio abbiamo testimonianze scritte risalenti al II secolo, ma una delle più antiche rappresentazioni figurative risale al 388. 

Si tratta di un missorio (o missorium), commissionato dall’Imperatore Teodosio. Ovvero un grande piatto di metallo lavorato e commissionato a scopi propagandistici che veniva donato a persone illustri per celebrare ricorrenze speciali.

Su questo piatto realizzato per onorare una cerimonia d’investitura, c’è un personaggio che gesticola con la dita protratte: si tratta di Onorio, sulla destra, che tiene con la sinistra un globo, e con la mano destra alzata piega l’anulare e il mignolo

Missorio di Teodosio o disco di Teodosio – Argento 74 cm; 388- 393 circa

 

Missorio di Teodosio o disco di Teodosio, dettaglio – Argento 74 cm; 388- 393 circa

Onorio non è un personaggio casuale, è il figlio dell’imperatore che regge il globo che simboleggia il suo impero d’Occidente. Infatti ai tempi dei romani questo era il gesto convenzionale con il quale l’imperatore romano trasmetteva ordini ai sottoposti.

Il gesto di adlocutio, era comune e  lo facevano gli oratori che stavano prendendo la parola per richiamare l’attenzione del pubblico. Lo dimostrano molti reperti, come ad esempio una stele funebre in onoranza di un medico, dove costui spiega la sua arte di fronte ai pazienti con il medesimo gesto. Tanto era diffuso che gli imperatori cominciarono ad usarlo durante i loro discorsi ai soldati; dopotutto questa mano “parlante”, è il gesto più tipico degli oratori nell’antichità.

Circa 200 anni dopo, il Vergilius romanus ci riporta un altro esempio.

Vergilius romanus: illustrazione di Didone ed Enea; V secolo

La scena si svolge durante un banchetto: la regina di Cartagine Didone è al centro della scena, adorna di gioielli, Enea alla sua destra, indossa un copricapo frigio, come l’altro ospite troiano.  La scena si presta benissimo per immaginare che stiano raccogliendo le ordinazioni per l’aperitivo, in realtà quello che sta succedendo e che l’artista ha voluto rappresentare è una conversazione tra Enea e Didone. La regina vuole sapere la storia e le avventure dell’eroe di cui è innamorata, ed Enea risponde narrandogliele. Questo reciproco conversare è indicato dalla ripetizione del gesto.

I romani non hanno dominato per sempre e la loro arte si è evoluta nei secoli, quindi come è stato assimilato questo gesto dalle civiltà successive per giungere fino a noi?

Un secolo dopo il Vergilius Romanus, l’Italia viene invasa dai Longobardi. Giungono nel 568 e si assestano lentamente in Italia, in contatto con la civiltà romana subiscono un lungo processo di acculturazione. Come per lo stile di vita, anche nell’arte i longobardi cominciano a coesistere e mescolarsi con i latini.

Lo si vede nella lamina di bronzo di Agilulfo, re dei longobardi dal 591 al 616.

Lamina di re Agilulfo, o Trionfo di re Agilulfo; rame 18,9 cm x 6,7 cm – VII secolo circa

L’opera approssimativamente datata intorno al VII secolo, di cui la provenienza della manifattura è incerta,  è una raffigurazione che richiama e si rifà alle rappresentazioni degli imperatori di epoca romana. Agilulfo, al centro della lamina, è rappresentato secondo il gusto longobardo: capello lungo e barba a punta, con il mantello aperto sul petto anziché averlo allacciato sulla spalla come da tradizione classica, e con la spada longobarda (spatha) appoggiata sulle ginocchia. Ma la sua mano destra, come da iconografia imperiale romana, è alzata nel gesto della parola: con le due ultime dita ripiegate, come nel missorium di Teodosio.

Come i longobardi hanno assimilato questo gesto, anche i cristiani ne hanno saputo fare grande utilizzo.

Un esempio lo si vede nel Dittico di Murano, del VI secolo. Si tratta di una copertina in avorio di un Vangelo, proveniente da Alessandria. L’opera rappresenta diverse scene raffiguranti alcuni dei miracoli compiuti da Cristo, che siede sul trono al centro del pannello. In questo caso il gesto non è esattamente come lo era per i romani, ma assume un significato sia di benedizione che dell’espressione del Verbo di Dio.

Dittico di Murano, coperta di evangeliario; avorio – VI secolo; Museo Nazionale di Ravenna

Il gesto per i cristiani non rimane comunque un’esclusiva di Cristo benedicente: il suo significato accompagna sempre un discorso solenne ed elevato, il più delle volte pronunciato da figure importanti. Come ad esempio lo si trova nel Bestiario di Aberdeen, un manoscritto miniato inglese del XII, dove in una pagina viene illustrato Adamo che nomina gli animali, e quale modo migliore per descriverne l’atto ai fedeli se non con quello del medesimo gesto dell’adoclutio utilizzato per secoli.

Adamo nomina gli animali, miniatura del Bestiario di Aberdeen; XII secolo – Biblioteca dell’Università di Aberdeen

Il gesto viene talvolta staccato dal soggetto al punto che capita di vedere in alcune raffigurazioni soltanto una mano fluttuante tra le nuvole. In questo caso si tratta di solito della mano di Dio, che simboleggia la sua stessa parola: è Dio che parla all’uomo.

Come in questa tavoletta d’avorio del 1100 (circa). Santo Stefano è inginocchiato a braccia alzate in segno di preghiera, sta chiedendo perdono a Dio per i tre uomini che lo stanno prendendo a sassate, sopra di lui, la mano di Dio lo benedice.

Lapidazione di Santo Stefano, 1100 circa; avorio, 7,5 cm x 9,6 cm x 0,9 cm – Walter Art Museum, Baltimora

Con Giotto, (Colle di Vespignano-Vicchio, 1267 circa – Firenze, 8 gennaio 1337) la mano parlante si evolve ancora. Il gesto che raffigura nei suoi affreschi rivoluzionari, non è più rigido e convenzionale, ma diventa più naturale e realistico. Nell’affresco che narra il sacrifcio di Gioacchino, sia la mano di Dio che quella dell’angelo, sono dipinti dall’artista in modo realistico: le mani sono più tridimensionali, quella dell’angelo ha il palmo leggermente ruotato verso lo spettatore.

Sacrificio di Gioacchino, Giotto; Affresco, 1303 – 1305 – Cappella degli Scrovegni, Padova

Le opere di Giotto sono un ponte tra due epoche, un mix unico di arte medievale e moderna di cui parlo approfonditamente in questo articolo: Giotto visto dagli occhi di un uomo medievale

Da comune usanza romana, il “gesto del discorso” diventa nei secoli una delle formule iconografiche più diffuse per simboleggiare la parola nelle raffigurazioni. È un gesto dal valore evocativo, che anche se staccato dal suo contesto originario, ovvero il discorso dell’imperatore, ha preservato la sua essenza antica. Tanto che è giunto fino ai giorni nostri: il gesto che utilizza il Papa per benedire i fedeli, è  lo stesso.