Arte medievale

Giotto visto dagli occhi di un uomo medievale

Oggi di Giotto si sa che è famoso ed apprezzato in tutto il mondo per aver rinnovato la pittura italiana con il suo stile innovativo e realistico, ma evidentemente i suoi contemporanei non potevano sapere cosa sarebbe successo secoli dopo, quindi ai loro occhi cosa rendeva Giotto non un “semplice rivoluzionario” ma un artista apprezzato anche nel corso della sua vita? 

Si tende quasi a dimenticare che Giotto rimane pur sempre un pittore del 1300 e che le sue opere contengono tantissima simbologia di quel periodo

Per circa un migliaio di anni (dal 476 d.c. in poi) gli artisti usavano dipingere con uno stile che l’uomo moderno trova quasi infantile e bizzarro, prospettive surreali,  proporzioni insensate e raffigurazioni umane poco realistiche e inespressive. Certamente Giotto era un genio, ma gli altri erano tutti incapaci o avevano i loro buoni motivi per dipingere così? 

La pittura come racconto per chi non sapeva leggere

Tutte queste caratteristiche che Giotto, vissuto tra il 1267 e il 1337, ha cominciato a rappresentare in maniera più naturale avevano in realtà uno scopo ben preciso per i suoi contemporanei.

La pittura nel medioevo era un mezzo di comunicazione. Considerando l’alto indice di analfabetismo, l’arte (praticamente astratta) di questo periodo narrava le storie bibliche tramite un massiccio uso di simbolismo; questo aveva priorità sul realismo, poiché il motivo dell’esistenza stessa di queste opere era di raccontare senza scrivere ciò che la committenza voleva (quasi sempre la chiesa), e c’era poco spazio per gli sfoggi dell’artista.  

Tutta questa simbologia, sapendo dove guardare, è ben visibile anche negli affreschi di Giotto. 

I suoi contemporanei, seppure analfabeti, sapevano interpretare questi simboli… ma che ne resta di noi “poveri alfabetizzati moderni”? 

Alla ricerca dei simboli medievali nei dipinti di Giotto

Per prima cosa bisogna sapere cosa cercare, e la prima cosa da sapere è che i soggetti delle opere medievali comunicano con i gesti e non con le espressioni. Questo perché nel medioevo l’esternazione delle emozioni di dolore provocava un certo disagio, era considerata una rievocazione eccessiva del paganesimo. Dopotutto, la chiesa professa la vita eterna, quindi secondo la committenza c’è poco da piangere. Come già detto,  l’importanza di rappresentare accuratamente le proporzioni e le prospettive era messa in secondo piano perché lo scopo dell’opera era narrativo; così facendo  l’artista, poteva raccontare in un solo affresco interi passi della bibbia. 

Sì ok però ste casette non le potevano disegnare un pochino meglio lo stesso? 

A quanto pare la pensava così anche Giotto.

La prima cosa che oggi colpisce di un’opera medievale è la totale assenza di prospettiva.

Gli edifici non rispettano le più basilari regole prospettiche e nemmeno quelle della fisica. Questo perché anche il paesaggio e gli edifici contestualizzavano la storia come dei simboli, con l’esigenza di raccontare ogni sfaccettatura di essa. Ecco quindi che la prospettiva si rivela secondaria.

Ad esempio in questa tavola del 1235 d.C., Bonaventura Berlinghieri narra un episodio della vita di san Francesco e l’architettura sembra proprio non avere senso.

San Francesco e storie della sua vita; dettaglio: Miracoli degli ossessi o Guarigione di un’indemoniata – Bonaventura Berlinghieri, 1235; Tempera su tavola, 160×123 cm – Chiesa di San Francesco, Pescia

Non solo manca la prospettiva, ma non vi è neanche tempo atmosferico, il cielo è piatto e dorato. Gli edifici sono tutti sullo stesso piano, non è chiaro se San Francesco (il penultimo a sinistra) è davanti o sotto il ciborio, il piano del tavolo è verticale senza alcuno accenno di prospettiva e gli oggetti sembrano appiccicati con del biadesivo su un piano verticale.

Ma l’uomo medievale non batte ciglio, tutto ciò ha perfettamente senso, poichè ha un significato preciso: la vicenda rappresentata raffigura San Francesco, quindi il cielo è dorato perchè è il cielo del sacro, e significa che il tutto avviene nella sfera divina. Gli edifici si limitano a contestualizzare l’episodio, sono alti quanto il ciborio nella quale è collocato San Francesco, e benchè ad un primo sguardo possa sembrare che lui sia davanti a questo, nel medioevo porre il soggetto davanti ad un luogo circoscritto significava che vi era  all’interno, quindi poco importa se le colonne sono perfettamente allineate, perchè se la prospettiva fosse stata rispettata sarebbero risultate di fronte alla scena interferendo col messaggio.

Un altro esempio di quanto poco fosse importante rappresentare una prospettiva realistica lo si vede in questa miniatura del 1316.

La badessa delle Monache Bianche taglia i capelli a una novizia, 1316; Fonte: British Library

Si tratta di un manoscritto narrante la vicenda di Lancillotto in cui le suore dell’abbazia tagliano i capelli a una novizia. La prospettiva nell’abbazia non esiste (senza considerare  che le suore sono altrettanto alte); questo perché, sempre per la stessa intenzione di voler dare allo spettatore più informazioni possibili, il miniaturista ha ritenuto valesse la pena di lasciarci ammirare sia il fronte decorato in stile gotico che il lato dell’edificio. 

L’innovazione di Giotto

Giotto con la sua arte inizia a rinnovare questo linguaggio, comincia a rappresentare le storie in paesaggi realistici, dipinge personaggi con delle espressioni e li colloca in ambienti naturali e prospetticamente coerenti

Ma neanche lui poteva esonerarsi completamente da tutta la simbologia tradizionale dell’epoca.

Giotto, nella sua innovazione della prospettiva, conserva parte di queste tradizionali linee iconografiche medievali. Lo si vede per esempio nello sposalizio di Giuseppe e Maria nella Cappella degli Scrovegni di Padova.

Sposalizio della Vergine
, Giotto –
affresco 200×185 cm – 1303-1305 circa; Cappella degli Scrovegni, Padova

L’innovazione della prospettiva di Giotto rispetto agli esempi che vi ho proposto sopra è evidente. Anche se la scena sembra svolgersi all’esterno a causa della chiesa “sezionata”, Giotto ci sta dicendo che il gruppo di destra raffigurante i due sposi e il sacerdote si trova all’interno di essa, perchè è davanti. Proprio come san Francesco di fronte al suo ciborio. Mentre il gruppo di sinistra, i “non scelti da Dio”, sono al di fuori di essa, perché non circoscritti nell’architettura della chiesa.

Da notare inoltre la grande innovazione del cielo azzurro, che essendo più naturale e realistico, avvicina queste vicende all’uomo comune che le ammira, rendendole più terrene e tangibili. 

Ecco perché le opere di Giotto vengono considerate dai suoi coetanei estremamente realistiche, motivo per cui è stato molto popolare durante la sua vita.

La sofferenza come non si era mai vista

La rappresentazione astratta medievale interessava tanto i paesaggi quanto i soggetti,  perennemente ritratti con una poker-face neutra e inespressiva. La Vergine accanto alla deposizione di Cristo non batte ciglio e gli apostoli sembrano piuttosto impassibili nei confronti della sofferenza altrui. 

Ma Giotto rinnova anche questo aspetto, dando ai suoi soggetti delle espressioni contrite e appassionate.

L’anello fra la pittura antica e quella moderna

I personaggi di Giotto hanno finalmente espressioni facciali meno ermetiche, ma le loro mani continuano a “parlare” come era usanza dell’epoca: nel compianto di Cristo nella cappella degli Scrovegni, Giotto utilizza  la  gestualità tradizionale affidandola a Giovanni, riprendendo una rappresentazione della Morte di Meleagro che risale al 190 d.C. La stessa gestualità la rappresenta in un’altra scena della basilica inferiore di Assisi, nella Strage degli innocenti.

Compianto sul Cristo morto, dettaglio. Giotto;
1303-1305 circa –
affresco, 200×185 cm; Cappella degli Scrovegni, Padova
Sarcofago con la morte di Meleagro, dettaglio; 180 dC; Louvre, Parigi
La Strage degli innocenti, Giotto e bottega ; affresco, 1310 – basilica inferiore di Assisi

Le gestualità rappresentate durante il medioevo e riprese da Giotto, si basano su un linguaggio antecedente al periodo medievale. Come possiamo notare nel compianto di Cristo.

Giotto rappresenta sulla destra un discepolo con le braccia allungate e le mani incrociate al grembo, questo linguaggio del corpo risale a ben prima del Cristianesimo e viene descritta già da Plutarco durante il primo secolo d.C sottolineandone la gestualità delle mani e l’espressione concentrata del volto. 

Compianto sul Cristo morto, dettaglio. Giotto; 1303-1305 circa – affresco, 200×185 cm; Cappella degli Scrovegni, Padova

La medesima gestualità la si ritrova in una rappresentazione di Medea del 79 d.C.

Medea medita l’uccisione dei figli, Opera derivata da un originale di Timomaco (III sec. a.C.) Affresco da Ercolano, oggi al Museo Archeologico Nazionale, Napoli

Fin dalle rappresentazioni romane dalle quali attingono gli artisti medievali possiamo notare  come la rappresentazione del dolore avvenga in maniera molto precisa. Sempre nello stesso episodio Giotto ha rappresentato altri gesti tipici per trasmettere il dolore dei personaggi. Ad esempio tra il gruppo di donne in piedi sulla sinistra ce n’è una che si porta le mani al volto appoggiandole sulle guancia. Questo gesto, molto comune nelle rappresentazioni medievali, risale all’epoca dell’arte greca classica.

Compianto sul Cristo morto, dettaglio. Giotto;
1303-1305 circa –
affresco, 200×185 cm; Cappella degli Scrovegni, Padova
Crocifisso con le Storie della Passione, particolare; Artista sconosciuto, attivo fine XII – inizi XIII secolo – Tempera su tavola, 277 x 231 Galleria degli Uffizi, Firenze
Miniatura francese, artista sconosciuto, 1195 circa
Bassorilievo di un monumento funerario, metà del IV secolo a.C. – Museo Archeologico Nazionale di Atene

Anche due degli angeli rappresentati in cielo sulla destra vengono rappresentati con il medesimo simbolismo. Nello stesso gruppo si può notare un angelo in basso sulla sinistra che si sta graffiando le guance e un altro sulla destra si sta tirando i capelli. 

Compianto sul Cristo morto, dettaglio. Giotto; 1303-1305 circa – affresco, 200×185 cm; Cappella degli Scrovegni, Padova

Anche questa gestualità non è casuale. Come già menzionato, nell’alto medioevo non era ben vista l’esternazione dei propri sentimenti, e il Concilio Toletano III del 589 prevedeva che il defunto venisse accompagnato alla sepoltura soltanto con canti funebri e che gli accompagnatori si astenessero dal mostrare disperazione, anche con gesti autolesionistici.

Tuttavia un documento risalente al XI di Agnello Ravennate, descrive così un eccidio del 692 d.C. avvenuto a Ravenna:

“E piangendo molte altre cose pensava la gente, con i volti fissi a terra, strappandosi la barba e i capelli, deturpandosi il viso con le unghie, strappandosi le vesti di dosso, piangendo i fratelli e i parenti, i figli e i nipoti, mentre cercavano i consanguinei perduti: tutta una settimana i cittadini consumarono nei lamenti.” 

Quella descritta da Agnello Ravvennate, è la medesima manifestazione di dolore e disperazione che viene rappresentata su alcune tavole del XIII che decorano il sepolcro Sancho Sàiz Carillo a Barcellona.

Artista sconosciuto, 1295 circa – tempera su pergamena montata su legno, Museo nazionale d’arte della Catalogna

Una dignitosa sottomissione

Le vicende bibliche sono complesse e sofisticate, e l’arte medievale non vuole educare il fedele esclusivamente con immagini di disperazione e dolore, ma anche di umiltà e fede. Infatti un altro gesto rappresentato spesso e utilizzato anche da Giotto, che si può ammirare nella cappella degli Scrovegni, è quello delle braccia incrociate al petto: evidente nell’episodio in cui Maria viene presentata al tempio di Gerusalemme.

Presentazione di Maria al Tempio, dettaglio -Giotto; 1303-1305 circa, Affresco 200×185 cm – Cappella degli Scrovegni, Padova

Questo gesto di tenere le braccia incrociate con i palmi rivolti al petto dichiara una umile accettazione della volontà divina. Infatti lo si trova anche nelle raffigurazioni dell’annunciazione, dove Maria risponde alla mano parlante dell’angelo (dito indice e medio protratti) con il gesto delle braccia incrociate al petto. Come si può notare in questa miniatura italiana del 1340.

Miniaturista sconosciuto, italiano (attivo prima metà del XIV secolo) – L’Annunciazione in un’iniziale M; 1340

In questo episodio affrescato ci sono altri dettagli curiosi della cultura medievale reinterpretata da Giotto. L’episodio di Maria presentata al tempio, descritto nella Leggenda Aurea, narra che la bambina salì di corsa i tredici scalini del tempio, dettaglio che viene tipicamente rappresentato, ma che Giotto ha preferito tralasciare per sottolineare che il tempio è lo stesso dalla quale Gioacchino era stato cacciato precedentemente a causa della sua sterilità ma nuovamente accettato e compiaciuto per la nascita della figlia.

Presentazione di Maria al Tempio – Giotto; 1303-1305 circa, Affresco 200×185 cm – Cappella degli Scrovegni, Padova
Cacciata di Gioacchino – Giotto, 1303-1305 circa; affresco 200×185 cm – Cappella degli Scrovegni, Padova
Presentazione di Maria al Tempio, Bartolo di Fredi, 1360 circa – Tempera media e oro su tavola; Collezione
Museo d’Arte di Honolulu

Altri simbologie presenti nelle opere medievali

Nel vasto vocabolario dei simboli utilizzato dagli artisti medievali, oltre alla comunicazione non verbale c’era una metodo ben preciso anche per determinare i ruoli dei vari personaggi rappresentati. In questi due episodi per esempio, viene rappresentata un’altra iconografia molto utilizzata per determinare gli ebrei. 

Mentre nell’episodio di Maria presentata al tempio Giotto si limita a rappresentarli sulla destra con una folta barba e uno scialle che copre il capo, nell’episodio della cacciata di Gioacchino dal tempio, gli ebrei sono chiaramente definiti dal tefillin.

 Si tratta di una scatoletta contenente dei testi sacri che viene indossata durante la preghiera e che Giotto semplifica con quel cappellino in bilico sui capi dei sacerdoti del tempio. La scelta iconografica di Giotto indica una neutrale autorità dei suoi personaggi, contrariamente alla comune rappresentazione medievale che identificava gli ebrei con cappelli a punta o rotelle gialle cucite sugli abiti.

Inuentio sanctae Crucis, Miniatura della Passione di Weissenau (Weißenauer Passionale) – tra 1170 e 1200 circa; Fondazione Bodmer, Coligny, Svizzera;
Una miniatura tratta dal Grandes Chroniques de France raffigurante l’espulsione degli ebrei dalla Francia nel 1182. Questa è una fotografia di una mostra al Museo della Diaspora, Tel Aviv – Tratta dal Manoscritto Grandee Chroniques de France (1321); Autore sconosciuto

La simbologia che ho scelto di raccontare in questo articolo, non è che una piccola parte di questo linguaggio che è stato tramandato attraverso i secoli in tutta Europa. Di questo linguaggio, che dal rinascimento diventerà sempre meno utilizzato, con Giotto crea un ponte tra due epoche.  È un valore apprezzabile dai suoi contemporanei, di cui si parla un po’ meno spesso perchè si tende ad ammirare gli aspetti che hanno più valori per i nostri giorni.

Per scrivere questo articolo mi sono informata qui: La Voce delle immagini – Chiara Frugoni; La cappella degli Scrovegni di Giotto – Chiara Frugoni; Giotto spiegato da Philippe Daverio; Giotto e la rivoluzione stilistica in pittura; Giotto raccontato da Federico Zeri;