Sono un’appassionata di fantasy e, nei giochi di ruolo, la paladina è il mio personaggio preferito.
In questo articolo ho deciso di indagare su alcune raffigurazioni di donne guerriere e raccontare la storia di questi dipinti e delle loro protagoniste.
Sono esistite veramente?
Certo. Nella storia dell’arte non sono moltissime le raffigurazioni di donne guerriere.
Ma le donne che hanno cambiato le sorti delle guerre e han fatto la storia sono moltissime: nei documenti storici, nella mitologia e nella letteratura vengono narrate storie avventurose da ogni angolo del mondo e di ogni epoca.
Grazie all’archeologia ci sono pervenute conferme di donne guerriere da tutto il mondo: regine d’Egitto che hanno condotto battaglie sanguinose, gladiatrici romane agguerrite, guerriere nordiche e tribù riconducibili ai miti delle Amazzoni. Recenti ritrovamenti ci danno notizie di donne guerriere anche in Siberia e nella Russia Europea.
Tomoe Gozen – la donna samurai
La prima guerriera della lista è Tomoe: il samurai al centro del dipinto, quella senza baffi.

L’autore della stampa è Chikanobu Toyohara, artista giapponese ukiyo-e dell’800 famoso per le sue raffigurazioni mitologiche e storiche. Per ukiyo-e si intende quel genere di stampa artistica giapponese che consiste nell’impressione su carta con matrici di legno, molto diffusa nel periodo Edo giapponese, tra il XVII e il XX secolo.
Anche se molto conosciuta, non si hanno informazioni attendibili sulla vita di Tomoe. Stando alla letteratura epica dei samurai, è stata una guerriera servitrice del generale Minamoto no Yoshinaka durante la guerra Genpei (1180 — 1185) conclusasi con la vittoria di Minamoto e la formazione dello shogunato Kamakura.

Quel che sappiamo è che Tomoe terrorizzava i suoi nemici non solo per le grandi doti in battaglia, ma anche perché non c’era niente di più disonorevole per un samurai che venire sconfitto in battaglia da una donna. Tomoe certamente non era l’unica, nell’antico Giappone molte donne erano addestrate militarmente, ma tipicamente a difesa del villaggio. Invece Tomoe combatteva sul campo di battaglia a collezionare le teste dei nemici.
Tra queste, la testa del capo dei Musashi le ha fatto conquistare il titolo di prima donna ad essere riconosciuta come generale nell’esercito.
Giovanna d’Arco – la pulzella d’Orléans
Torniamo in Europa. Giovanna d’ Arco aveva soltanto 16 anni quando intraprese la sua missione: quella di liberare la Francia dagli inglesi.
Oggi una ragazza della sua età combatte con i genitori per il motorino, lei invece guidava un intero esercito alla liberazione di Orléans.

Grazie a lei la Francia ha ribaltato le sorti della guerra, ma Giovanna non ha mai ucciso nessuno, o per lo meno non è famosa per questo.
Giovanna d’ Arco è stata un simbolo, e ancora oggi è commemorata per la sua tenacia e il suo coraggio, qualità che sono state in grado di convincere il futuro Re di Francia a darle
l’approvazione di lanciarsi in prima linea durante le battaglie e guidare l’esercito francese verso la vittoria.
Giovanna viene tipicamente rappresentata con l’armatura che brandisce lo stendardo bianco (segno di purezza) e un taglio di capelli corto. Oppure in tenuta da pulzella d’Orleans nelle rappresentazioni in cui sente le voci.

Contrariamente a quello che comunemente si potrebbe pensare, Giovanna non è stata arsa viva dagli inglesi per le voci che affermava di sentire, ma è per il fatto che si vestisse da uomo, e con un’armatura, che gli inglesi la considerarono colpevole di eresia.
Ovviamente si trattava di una questione politica, gli Inglesi volevano umiliare i francesi. Giovanna non fu subito condannata a morte, ma all’ergastolo in un carcere femminile a patto che non si vestisse più da uomo. Venne però rinchiusa in un carcere di prigionieri di guerra, dove gli abiti da donna le furono sottratti da un soldato inglese, costringendola a indossare gli abiti da uomo ancora una volta.

Nel dipinto di Millais del 1865, l’artista (uno dei primi preraffaelliti) la rappresenta in ginocchio in preghiera, con la spada in mano. Giovanna indossa l’armatura e una gonna rossa, indumento con la quale viene spesso rappresentata. Il volto è scoperto e rivolto verso l’alto, come se stesse ascoltando l’incoraggiamento degli angeli a combattere gli inglesi.
Millais è stato in grado di rendere magistralmente la drammaticità del momento. Giovanna d’Arco è rappresentata frontalmente, circondata dall’oscurità, e oltre all’elmo appoggiato a terra non c’è nient’altro che possa distogliere l’attenzione dal momento. La maestria dell’artista è evidente nella resa dell’armatura, nei suoi dettagli e nei riflessi.
Minerva – la dea della saggezza
Spostiamoci adesso dalla storia alla mitologia romana.
Maestra di saggezza, protettrice degli artigiani, della lealtà, delle gesta eroiche e della guerra giusta. Minerva è una dea romana di origini etrusche, ed è il corrispettivo della Atena greca.
Minerva è nata dalla testa di Giove con un colpo di ascia da parte di Vulcano, Giove era in preda ad un terribile mal di testa, la picconata deve essere stata la soluzione migliore al momento anche perché l’intuizione fu azzeccata: dalla testa di Giove fuoriuscì Minerva, bella, vestita e armata.

Minerva viene tipicamente rappresentata con un’armatura con la testa di medusa sul petto, l’elmo, la lancia e uno scudo. Ma come ho precisato precedentemente, è la dea della guerra giusta, nel senso che è la difenditrice delle giuste cause, e non dei bagni di sangue ingiustificati, infatti tra le sue virtù forse la saggezza è la più venerata.
Un dettaglio curioso sulla sua iconografia, è che nell’antichità, trattandosi di una vergine (a differenza di Venere), non venne mai rappresentata nuda, caratteristica che venne invece tralasciata più tardi a partire dal rinascimento.
Minerva è la protagonista nel Trionfo della virtù di Andrea Mantegna. L’artista ha rappresentato il racconto mitologico con una ricca partecipazione di personaggi allegorici e di dettagli simbolici.
L’ambientazione è quella del fiorito giardino delle virtù che è stato occupato dai vizi, che lo hanno tramutato in una palude. La scena del dipinto è popolata da numerose allegorie, alcune sono facilitate dalle scritte per altre non serve comunque molta immaginazione per comprenderne il simbolismo.


A salvare il giardino dai Vizi entra in gioco Minerva, che irrompe sulla sinistra armata di scudo e lancia per stemperare la festicciola. Nel marasma generale è curioso notare come siano stati rappresentati i vizi: intanto per distinguerli basti sapere che sono i personaggi senza vestiti, tra questi si notano l’Accidia, ovvero la vecchia deforme senza braccia, trascinata con una corda dall’Inertia vestita con una camicia logora. Segue una oscura figura scimmiesca che simboleggia l’Odio immortale, la Frode e la Malizia. Il gruppo un po’ più avvantaggiato rappresenta Venere in piedi su un centauro, entrambi simbolo di lussuria. A completare il trio c’è un satiro con in braccio un bambino; anche se non c’è nessun cartiglio a definirlo, è stato riconosciuto come la Concupiscenza o Lascivia grazie ad alcune incisioni che ci sono pervenute.

L’ultimo gruppo descritto dai cartigli rappresenta l’Ignoranza, trasportata di peso dall’Ingratitudine e l’Avarizia. Proprio sopra di queste è possibile leggere un cartiglio: “E voi, o dei, soccorrete me, Madre delle Virtù”; abbiamo informazioni incerte sul significato di questa frase ma pare faccia riferimento alla Verità.
Clorinda – la principessa etiope
L’ultima eroina è un personaggio della letteratura italiana.
Clorinda è una principessa etiope, è albina, ed è per questo motivo che nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, si narra che la madre l’abbia nascosta e allontanata dalla corte col timore che la pelle candida e i capelli biondi della bambina significassero per il padre l’adulterio.
Anche se la madre fece giurare all’eunuco alla quale la affidò, di battezzarla nel nome di Cristo, Arsete (l’eunuco) pur avendo ricevuto ammonizioni da San Giorgio in sogno, fa quel che gli pare: non la battezza e Clorinda diventa una furiosa guerriera islamica.
Il contesto in cui si svolge la storia è quello della prima crociata, Clorinda è una valorosa e onesta guerriera che difende la propria terra dai crociati, guidando le armate islamiche stando sempre in prima linea.

La sua vicenda ha del toccante: non solo la protagonista di valorose battaglie ma della storia amorosa con il crociato Tancredi, che in un duello a cavallo le colpisce l’elmo, che cascando a terra scopre la sua identità e se ne innamora perdutamente. Tancredi pietrificato dall’amore non riesce a contrattaccare Clorinda, ma riuscendo ad allontanarla dalla battaglia le confessa il suo amore.
Il momento viene interrotto dai cavalieri crociati e i due, appartenenti a fazioni opposte continuano a combattere per la propria causa. Anche se Clorinda fa stragi incontrastata, i cristiani hanno la meglio.
Prima di partire per una rischiosa missione notturna, vengono rivelate a Clorinda le sue origini, ma decide di non rinnegare l’islamismo e di portare a termine la missione. Clorinda indossa un’armatura diversa dal solito, e dopo aver incendiato una torre cristiana, viene inseguita da Tancredi che, ignaro della sua identità, la spinge a duellare. Clorinda combatte senza mai rivelare la propria identità, fino al momento in cui viene trafitta al petto da Tancredi. Sul punto di morte Clorinda viene battezzata, e Tancredi straziato dal dolore medita il suicidio, ma in sogno gli appare Clorinda, che gli confessa il suo amore e lo ringrazia per averla riconsegnata nelle mani di Dio.

Una delle rappresentazioni più famose di Clorinda la ritrae durante l’episodio del salvataggio di Sofronia e Olindo descritto nell’opera della Gerusalemme Liberata. Il dipinto che ho scelto è un’opera minore di Eungène Delacroix(1798 -1863), pittore francese considerato il maggior esponente del movimento romantico francese.
L’episodio ritratto è collocato all’inzio della storia. Sofronia e Olindo, (due personaggi secondari) si autoaccusano di aver rubato una statua della Vergine sottratta ai cristiani e posta nella moschea per svolgere un rito per ostacolare i crociati. Con la sparizione della statua cristiana re Aladino decide di punire tutti i cristiani, così Sofronia e Olindo si offrono al rogo come capri espiatori. A fermare l’esecuzione intercede Clorinda, che ritenendoli innocenti convince il re a risparmiarli in quanto sostiene che il furto sia stato opera di Maometto, per dimostrare che non è lecito esporre gli idoli nelle moschee, tanto meno quelli cristiani.

Nell’opera di Delacoirx, Clorinda è appena arrivata a cavallo facendosi spazio tra la folla, indossa un’armatura nera e con la mano alzata dice ai boia di fermare l’esecuzione. Il patibolo è in alto al centro della scena, mettendo in risalto la coppia.
Come egli stesso afferma, Delacroix non si ispira ai modelli classici, quanto piuttosto la pittura del XVI secolo prendendo spunto per esempio da Raffaello, Rubens o Tiziano. Delacroix inoltre, contrariamente alle tendenze dei contemporanei, dà grande importanza al colore e alla dinamicità trascurando la nitidezza della forme. Come si può notare anche nel dipinto di Clorinda, le pennellate sono immediate e molto espressive, riuscendo a coinvolgere emotivamente lo spettatore nella drammaticità della scena.
E tutte le altre?
Le figure che ho deciso di raccontare in questo articolo non sono che un assaggio delle storie di donne guerriere conosciute, ma per parlare di tutte le guerriere ci vorrebbe molto più di un articolo.
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Per scrivere questo articolo mi sono informata qui: Badass Stories Of Real Samurai From Ancient Japan #3 – Tomoe Gozen; Tomoe Gozen: The Female Samurai Warrior; JOAN OF ARC – The Maid of Orléans – IT’S HISTORY; Amazing Facts About Joan of Arc; Minerva, Roman Goddess of Wisdom, War and Healing; Minerva; Trionfo della virtù; Il duello di Tancredi e Clorinda;