Ansia, paura, alienazione, purea di pesce in salsa di aragosta. A questo bisogna essere pronti ad affrontare quando si ammira un quadro di Munch.
La purea di pesce è uno dei modi coloriti che certi critici del tempo avevano di disprezzare il suo lavoro.
Infatti Munch non è certo un artista ‘facile’. Non a tutti piace, non è facile confrontarsi con una tale disperazione, ma la somma alla quale è stato venduto all’asta il Grido (119 milioni di dollari) ci dimostra che il mondo dell’arte considera Munch un artista unico, e che la sua arte merita di essere capita.
I suoi quadri sono di certo straordinariamente belli ma ritraggono emozioni oscure e un male di vivere profondo. Ma perché?
I motivi sono evidenti dalla sua tragica biografia: Edvard perse la madre a 5 anni, la sorella a 15, il padre a 26 e il fratello a 35. Come se non bastasse, questi episodi sono sempre stati intervallati da gravi malattie: sue, di sua sorella e suo padre. Il tutto accompagnato dall’alcolismo. Olè.
È comprensibile che non avesse grande ottimismo e una psiche equilibrata.

Il rifugio nell’arte e le critiche
Nella passione per la pittura, Edvard trova rifugio da questi tormenti. Si contano infatti 40.000 opere tra dipinti, foto, xilografie e scritti; oltre a detenere un invidiabile curriculum che conta circa 400 esposizioni di livello internazionale tra personali e collettive, anche assieme ai più grandi artisti del periodo (Van Gogh, Cézanne, Gauguin).
Ma la scalata al successo non è stata facile. Edvard prima di diventare un pittore di fama mondiale, è stato preso a pesci in faccia per anni dalla critica borghese che ha definito le sue opere “imbrattature”, “purea di pesce in salsa di aragosta”, “ripugnante”, “spaventosamente brutto” e molte altre considerazioni colorite.
Alla mostra di Berlino nel 1892 lo sdegno del pubblico e della stampa è stato tale da dover sospendere la mostra dopo una settimana dall’apertura.
Ma non si è mai fatto intimidire e senza scendere a compromessi ha continuato ad esprimere le sue emozioni, continuando a dipingere come se volesse lasciarci una raccolta di istantanee del tormento umano, da più angolature.
Oltre il grido
Per quanto sia famoso il Grido, le opere di Munch che mi hanno suscitato più inquietudine e ammirazione sono quelle un po’ meno popolari. Ho deciso di descriverne alcune selezionandole per temi:
Paura di vivere
Il buio è un tema ricorrente nelle opere di Munch.

Adolescenza trasmette tutta l’angoscia tipica del difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta. La ragazza nuda è seduta con le braccia incrociate sul letto, abbandonata a se stessa e alla sua sessualità, circondata da una grande ombra oscura e imprecisa, imponente come una minaccia.
Queste ombre maestose sono un dettaglio ricorrente nelle opere di Edvard.

Osservando Chiaro di Luna, la figura umana è quasi secondaria rispetto alle ombre, avvolta al punto che l’abito si fonde con il buio.
Come in un incubo la scena sembra fluttuare nell’oscurità, si intuisce l’ambiente circostante dalla staccionata bianca e dal muro della casa, su cui è riportata l’ombra densa della donna in modo tanto evidente che sembra quasi un secondo soggetto del dipinto.
A completare il ritratto dell’inquietudine c’è lo sguardo della donna, vuoto e spettrale, che sarebbe un capolavoro anche come locandina di un film horror.
La raccolta di opere sulle emozioni dell’animo umano.
Sono molti gli artisti per cui è la critica a notare similitudini fra le opere e a catalogare fasi e influenze, ma nel caso di Munch è lui stesso a dichiarare questo tema e a creare una raccolta.
Intorno al 1890, Edvard sente l’esigenza di raggruppare le proprie opere in un progetto unico Il fregio della vita. Una collezione di dipinti che esplora l’animo umano, organizzato per fasi della vita.
Tra queste opere vi è Sera sulla via Karl Johann, la strada principale del centro di Oslo (allora chiamata Cristiania). In questo dipinto il dramma è la folla, un fiume di persone con gli occhi sbarrati fissi sullo spettatore che avanzano come zombie su una ripida prospettiva, come se il quadro volesse risucchiare lo spettatore nella scena. Le persone che sfilano sul marciapiede sono la borghesia, prigionieri delle convenzioni sociali e della repressione morale. Invece sulla destra c’è l’unica figura vista di spalle, completamente nera, sola in mezzo alla strada, controcorrente.

Il significato di questo dipinto è facile da interpretare, è il ritratto di un uomo solitario, emarginato dalla società forse per scelta forse per condizione. Le supposizioni sono confermate dagli appunti del suo diario:
“Tutti i passanti lo guardavano in modo cosi strano e singolare e lui sentiva che lo guardavano così, che lo fissavano – tutte queste facce – pallide nella luce serale – voleva fissare un pensiero, ma non gli riusciva – aveva la sensazione che nella sua testa non ci fosse nient’altro che il vuoto – e allora tentò di fissare lo sguardo su una finestra in alto – ma i passanti si intromisero di nuovo il suo corpo era scosso dal tremito, il sudore lo bagnava.”
Amore ed erotismo
La vita sociale per Munch è sempre stata un aspetto travagliato, in compenso nella sfera amorosa non andava molto meglio.
A causa dell’alcolismo e dell’instabilità mentale Edvard, ha avuto una storia sentimentale abbastanza complicata. I dipinti che trattano il tema dell’amore nel Fregio nella vita, sono tutt’altro che rosei.
Tra questi, uno dei miei preferiti è La danza della vita. Il dipinto raffigura una festa paesana estiva, ma quel che per molti è un gaio momento di disinibizione, lui lo interpreta con il suo immancabile ottimismo come uno scenario spettrale, una danza macabra.
Le tre donne in primo piano nel dipinto sono la stessa, ma in periodi diversi della sua vita in rapporto all’uomo e alla vita amorosa.

Dimensioni: 125,5×190,5 cm; Galleria Nazionale, Oslo
A sinistra la figura femminile vestita di bianco simboleggia la purezza e l’illusione amorosa, contrapposta alla figura vestita di nero a destra, esclusa e malinconica, che osserva silenziosa le coppie che danzano.
Come in un sogno, le figure sullo sfondo non hanno volti, si riconosce soltanto un individuo un po’ troppo appassionato che avvolge la propria partner (una scena decisamente grottesca, ma sempre attuale ancora oggi in molte discoteche…).
Tutti questi elementi circondano i protagonisti: la coppia rossa e nera al centro della scena.
L’alter ego di Edvard danza completamente avvolto nella veste della sua compagna, trascinandolo nel vortice amoroso. Non si tratta di una vera danza appassionata, sembrano piuttosto essere in trance. Hanno gli occhi chiusi e i volti distaccati, sono irrigiditi e separati da una linea netta. Una rappresentazione tutt’altro che spensierata della relazione sentimentale tra i due.
Infatti pare che la ragazza rappresentata da Munch sia in realtà la sua ex fidanzata, Tulla, con la quale non è finita molto bene purtroppo.
«Danzavo con il mio primo amore – il dipinto è basato su questi ricordi. Entra la donna bionda sorridente, vuole cogliere il fiore dell’amore, ma questo sfugge al suo gesto. Sull’altro lato del dipinto compare vestita a lutto, lo sguardo rivolto della coppia che danza – è un’emarginata – proprio come me. Respinta dalla danza.»
Edvard Munch non ci ha certamente lasciato opere leggere e spensierate, ma forse è quello che più di tutti è riuscito a connettersi con il lato oscuro che da qualche parte è racchiuso in ognuno di noi.
Le sue opere tirano fuori questi spettri senza pietà, in contrasto con la comune tendenza (sempre attuale) di seppellire la negatività dietro una cascata di post di “vita perfetta” su Instagram.
Per scrivere questo articolo ho letto questi libri: Munch