Arte del 900

Cagnaccio di San Pietro, il pittore che rinunciò alla fama per l’antifascismo

Quando si nomina ad alta voce Cagnaccio di San Pietro qualcuno potrebbe rimanere un po’ perplesso e pensare che ve la stiate prendendo con qualcuno, o che stiate imprecando contro una multa.

Ma Cagnaccio di San Pietro non è un dispregiativo né un’imprecazione. Cagnaccio di San Pietro, il nome, è un’orgogliosa rivendicazione di un pittore del ‘900 italiano, dalla tecnica straordinaria e una concezione della realtà che ha lasciato il segno nel Realismo Magico italiano.

Il Realismo Magico è un movimento che si è sviluppato contemporaneamente ad altre avanguardie europee, ma con la quale non ha niente in comune. Le opere sono realistiche, ma con un velo di mistero, cariche di simbolismo, surreali ma non improbabili.

Cagnaccio di San Pietro è uno dei massimi esponenti di questo movimento, e per capire meglio di che si tratta non si possono non conoscere le sue opere.

Come gli è venuto in mente di chiamarsi così?

Cagnaccio di San Pietro, è un dispregiativo autoironico che Natalino Bentivoglio Scarpa (14 gennaio 1897, Desenzano del Garda) ha deciso di attribuirsi. Il nome di per sé riassume le sue origini: “di San Pietro” perchè è originario di San Pietro in Volta, piccolo comune dell’Isola di Pellestrina a Venezia; “Cagnaccio” invece perchè durante la sua infanzia i nonni paterni possedevano alcuni cani da guardia, anche se stando alle sue note biografiche, non si sa se bene chi tra i nonni e i cani ringhiasse di più. 

Il motivo di questo nome non è da attribuire esclusivamente alle sue radici, ma ancor più al suo animo provocatorio: è un selvatico che vuole trasmettere una rivendicazione di appartenenza al popolo, scontroso e refrattario.

Il nome dopotutto è azzeccato, non è ovviamente riferito alle sue capacità ma piuttosto alla sua indole, Cagnaccio è un antifascista che non teme il regime. Questo purtroppo gli costerà la fama, perché pur possedendo una tecnica insuperabile sarà sempre un “ribelle tradizionalista”, e come tale verrà tagliato fuori dalla scena artistica italiana. Muore nel 1946 non ancora cinquantenne, e con la sua morte le sue opere vengono dimenticate per circa 25 anni.

Cagnaccio di San Pietro – Autoritratto, 1938

Com’è diventato Cagnaccio di San Pietro?

Cagnaccio durante la sua giovinezza è un autodidatta fuori dal branco, s’iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia ma lascia gli studi dopo un anno, anche se continuerà a frequentare privatamente il suo mentore, Ettore Tito. Per un apprendistato così breve e irregolare, Cagnaccio dimostra una tecnica e padronanza del mestiere sbalorditiva. Anche se affascinato da Klimt, e compagno al fronte del futurista Marinetti durante il primo conflitto mondiale, rifiuterà per tutta la vita le avanguardie, proclamando sempre con mistico sentimento di voler ritornare ai “sani” valori della tradizione.

Iper attivo ma senza allontanarsi troppo da casa

Era un artista molto attivo, dipingeva giorno e notte dormendo pochissimo. Fumava due pacchetti al giorno (a volte tagliando le sigarette a metà per illudersi di fumare meno) e assumeva dosi di caffè decisamente eccessive. Passava gran parte del suo tempo a letto a disegnare, e si alzava soltanto per dipingere, soffrì persino di saturnismo a causa del piombo presente nel colore che provava sulle unghie. Insomma una vita abbastanza sregolata che peggiorò la sua ulcera della quale soffriva fin da giovane e che negli anni cercava di sopportare assumendo laudano, morfina ed infine anche eroina.

La sua fama rimane per lo più locale, sono rare le escursioni e le  mostre oltre i confini del veneto. È un tesserato del Circolo Artistico di Venezia e un frequentatore abituale di Ca’ Pesaro, parteciperà a diverse biennali di Venezia, oltre a qualche sporadica personale. La sua visibilità è stata di gran lunga inferiore ai meriti. Forse per la sua inclinazione all’antifascismo o forse perché allievo di Ettore Tito, non verrà mai incluso nelle grandi collettive del ‘900 rimanendo un artista inferiore del periodo.

In cosa consistono i suoi dipinti?

La storia di Cagnaccio e il suo pensiero si riflettono chiaramente nelle sue opere: per lui la tradizione locale e il popolo rappresentano uno stadio supremo, un’apoteosi di ascensione spirituale, vuole rappresentare l’aspetto nobilitante del basso ceto. I suoi soggetti popolani sono composti, quasi statuari, saldi, ma incarnano una condizione di sofferenza, statici come se fossero congelati nel tempo. Sono anime assorte che non comunicano, sembrano risucchiate dai pensieri con sguardi nebulosi persi nel vuoto. Cagnaccio nelle sue opere vuole alludere alla vertigine di un equilibrio precario, un peccato originale galleggiante. Non c’è ironia né gioia nemmeno quando dipinge i bambini, nei suoi quadri si insinua sempre l’angoscia di una coscienza infelice. Insomma, mai una gioia nei dipinti di Cagnaccio di San Pietro.

Uno sguardo ai suoi dipinti più celebri

Ad esempio, nell’opera Bambini che giocano del 1925, non solo sembra che non si stiano divertendo affatto, ma i ragazzi fissano il vuoto con sguardo quasi catatonico come se fossero in trance. I tre bambini sembrano adulti sotto mentite spoglie, non interagiscono, non si guardano, sono seduti a terra con espressione assorta. I giochi sono sparpagliati a terra come se fossero gli amuleti di un rito, sabotando la prospettiva e confondendo il primo piano del dipinto. Cagnaccio utilizza spesso questo trucco, dipingendo una prospettiva rialzata comprimendo la profondità di campo, esaltando la plasticità e conferendo alla scena un effetto “magico”. L’ambiente è un non-luogo, sfiora l’astrazione senza diventare surreale.

Cagnaccio di San Pietro – Bambini che giocano, 1925

Nell’Attesa, dipinto nel 1934 dopo la morte del padre, i soggetti sono sottratti alla vita come se fossero sotto una campana di vetro. I vestiti e i corpi sono estremamente realistici e per niente idealizzati: la madre ha i piedi gonfi e ha un gomitolo in tasca, le mani del padre sono grosse e rugose. Ma l’espressione li fa sembrare degli automi inanimati. Il fondo sembra quasi finto, la coppia è posta nel dipinto come se fossero su un piedistallo: il cielo è una striscia, il mare è una liscia tavola azzurra, e la banchina è uno spigolo oscurato dalle gigantesche ombre dei soggetti. Il fondo è talmente semplificato che sembra quasi indifferente e superfluo. 

Cagnaccio di San Pietro – L’attesa, 1934; olio su tavola, 118×98 cm

Dopo L’orgia (1928), è uno dei dipinti più celebri di Cagnaccio, ma al tempo non venne molto apprezzato, tanto che venne respinto alla 16esima Biennale di Venezia, non perché fosse brutto, ma perchè sbeffeggiava il regime fascista.

La celebre e controversa opera “Dopo L’orgia”

Il titolo lascia intendere che l’opera rappresenti i postumi di un festino, ma il significato è un po’ più complesso. Innanzitutto la scena è surreale per vari motivi. Ad esempio le tre donne nude distese a terra, oltre che ad essere sempre la stessa persona, giacciono a triangolo nella stanza. Il numero tre si ripete anche negli oggetti sparsi per la stanza: due calici, due bottiglie e due carte: tre coppie quindi. Il tutto si svolge in una sorta di orto concluso di vizi e degrado, dove oltre agli oggetti già elencati sono presenti i guanti, bombetta e polsino, appartenuti al beneficiario del festino. Questi tre oggetti giocano un ruolo fondamentale nel significato del dipinto, perché sono gli elementi iconici del completo di Mussolini, Cagnaccio ha aggiunto la cimice fascista sul gemello del polsino per togliere ogni dubbio. Un polemica un po’ troppo sfacciata al regime, al duce e ai suoi sostenitori.

Cagnaccio di San Pietro – Dopo l’orgia, 1928; olio su tela, 140,5×181 cm

Pur contando estimatori nel comitato della giuria della Biennale di Venezia, ne fanno parte anche due fedelissimi di Mussolini, che respingeranno la candidatura di Cagnaccio alla Biennale.

Cagnaccio di San Pietro esporrà ancora questa opera ad una personale alle Botteghe dell’Arte, ma Luigi Linassi interviene prima dell’inaugurazione implorando Mimma, la fidata consorte di Cagnaccio, di rimuovere la cimice sul polsino. Cagnaccio alla  fine decide di coprirla, diciamo che con questa mossa non si rovina, ma la sua carriera è ormai compromessa, pur salvando comunque l’attività di pittore.

La modella in questo quadro è Maria, una giovanissima prostituta di 17 anni che adescava i passanti in pieno giorno. Cagnaccio e Mimma, impietositi, le proposero di posare e la accolsero in casa propria per un anno. È infatti la stessa modella di Cagnaccio in altre sue celebri opere, come Zoologia e Primo Denaro.

Cagnaccio di San Pietro – Primo Denaro, 1928; olio su tavola, 59,5×79,5 cm
Cagnaccio di San Pietro – Zoologia

L’approvazione da parte del regime (non corrisposta)

Riuscirà a redimersi quando alla Biennale di Venezia del ‘34 Hitler è intenzionato ad acquistare il suo Randagio, dipinto nel 1932. Durante quell’edizione le opere di Cagnaccio sono ipotecate, quindi in seguito all’acquisto di Hitler ne ridipinge subito un’altro per non indebitarsi con la Biennale. Tale è la simpatia che si guadagna dal Fuhrer che gli verrà condonato ogni debito con il regime, e al termine della Biennale ogni dipinto gli verrà restituito.

Delle due versioni del Randagio però, non si sa ancora oggi quale sia la prima o dove sia la seconda. Attualmente al Mart di Rovereto è conservata la versione appartenuta al Museo Ludwig di Colonia, ma quale sia dei due, e dove sia l’altra purtroppo rimane un punto di domanda nella storia dell’artista.

La stima del Fuhrer lo redime, ma i contrasti di Cagnaccio con il regime fascista sono irrisolvibili, intorno al 1941 in seguito alla sua esagerata e aggressiva reazione quando gli verrà riproposto di partecipare alla biennale a patto di accettare il tesseramento nel Partito Nazionale fascista verrà preso per malato di mente e trasportato al manicomio Veneziano di San Servolo (per almeno tre volte), anche se si tratta più di una messa in scena per tenere tranquilli gli affezionati del regime.

La morte prematura

Negli anni ‘30 e ‘33  le complicazioni all’ulcera piegano Cagnaccio, il quale si dovrà sottoporre a diversi interventi. Ma gli anni dal 1935 al 1937 saranno un periodo favorevole per l’artista durante il quale parteciperà a diverse mostre (cinque in un anno) e avrà la soddisfazione nel ‘37 di prendere parte ad una collettiva all’Accademia di Belle Arti di Berlino. Quando l’italia si spacca tra nazifascisti e oppositori la casa di Cagnaccio in Calle del Zucchero diventa un rifugio per alcuni resistenti per diversi mesi, e quando ormai l’Italia si sarà liberata dal nazifascismo la sua malattia degenera irrimediabilmente. Il pittore ormai allo stremo delle forze si imbottisce di eroina, ma non smetterà mai dipingere, concludendo La Furia, nel ‘45. Quando una sera del 29 maggio del 1946 la situazione precipita e Cagnaccio è in preda agli spasmi di dolore, Mimma, gli pratica l’iniezione letale. Poi chiama i figli, chiedendogli di sedere accanto al padre.

Attualmente si possono ammirare le opere di Cagnaccio di San Pietro alla mostra Realismo Magico del Palazzo Reale di Milano, fino al 27 Febbraio 2022.